Casa e abitare: verso un nuovo paradigma a prova di sfiducia 

L’indagine Nomisma 2022, Famiglie e Investitori alla prova di un Abitare Arricchito, esplora le condizioni socio economiche e abitative delle famiglie italiane, protagoniste dei cambiamenti epocali che stanno interessando il Paese. In un contesto generale di sfiducia, in cui 10,4 milioni di famiglie dubitano dei propri mezzi economici, 3,4 milioni sono comunque interessate a migliorare la propria condizione abitativa.
“Il tema dell’abitare è di grande rilevanza, ma oggi registriamo una grande difficoltà per l’accesso all’acquisto del bene in sé, e questo sta creando una serie di alternative quasi necessarie, che rendono il tema ancora più complesso – dichiara Adolfo Suarez, Partner Lombardini 22 -. La mancanza di fiducia rilevata dall’indagine Nomisma riflette l’incertezza diffusa e le insicurezze che stanno diventando strutturali, ma alle quali dobbiamo capire che risposta dare”. 

Ruolo del credito e vulnerabilità delle famiglie

“Il ruolo del credito è diventato imprescindibile e ha consentito di coniugare l’aspirazione di miglioramento abitativo con la possibilità reale di acquisto, ma è un canale che oggi rischia di ridurre le proprie dimensioni – spiega Luca Dondi, AD Nomisma -. Il mutuo, che è stato il trampolino per tante famiglie, oggi può diventare uno scoglio”.
Negli ultimi 12 mesi, “circa 880 mila famiglie hanno fatto fatica a pagare il canone di affitto e 330 mila famiglie hanno incontrato difficoltà con la rata del mutuo – aggiunge Marco Marcatili, Responsabile Sviluppo Nomisma -. Vulnerabilità che avranno a che fare non tanto con l’attaccamento alla casa, ma incideranno sul sistema di finanziarizzazione e selezione da parte del credito bancario”. 

Nuove esigenze legate a efficienza energetica, meno a contesto o servizi

Le famiglie che hanno una reale capacità di acquisto sono quelle più giovani, fra 18-34 anni (7,9%) e fra 35-44 anni (8%), che vogliono transitare dall’affitto alla compravendita (8,2%), e che hanno un reddito medio elevato. La domanda si concentra sui comuni capoluogo delle Città metropolitane.
“Siamo di fronte a un interesse abitativo che vede due ondate – ribadisce Marcatili -. Se nella fase pre-pandemica la domanda delle famiglie ricadeva sulla casa e non sull’abitare, oggi la situazione è molto diversa. Se prima le famiglie segnalavano come driver d’acquisto il contesto e i servizi, l’emergenza sanitaria ha mostrato le inadeguatezze di questi comfort”.
I nuovi bisogni sono legati, ad esempio, più all’efficienza energetica o alla ricerca di nuovi spazi interni ed esterni, che possano migliorare le relazioni familiari e conciliare vita e lavoro.

L’abitare diventa “arricchito”

Il concetto di ‘abitare sociale’ non è più adatto ai tempi. “È tempo di un nuovo paradigma: ‘l’abitare arricchito’, capace di guardare a tutte le diverse forme di vulnerabilità”, prosegue Marcatili.
L’abitare arricchito è quindi in realtà “una chiave trasformativa della propria fiducia per migliorare la propria condizione familiare – puntualizza Mercatili -. Non esiste una domanda aggregata pronta per l’uso, ma tante storie familiari da aggregare in maniera sociale di cui i fondi, i soggetti della finanza e il pubblico devono farsi carico”.

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Da Messenger una nuova scheda Chiamate

Messanger ha introdotto per la prima volta le chiamate vocali nel 2013, e ora con una nuova scheda dedicata compie un ulteriore passo in avanti come hub di comunicazione completo.  Meta, già Facebook, ha infatti lanciato a livello globale la nuova scheda ‘Chiamate’ nell’app Messenger per iOS e Android. La sezione terrà traccia di ogni chiamata effettuata o ricevuta nell’app, e renderà più semplice usare il client per entrare in contatto con i propri amici, quasi come su WhatsApp. Secondo il gruppo Meta, complice anche la pandemia, negli ultimi due anni le chiamate audio e video su Messenger sono aumentate del 40%, con 300 milioni di telefonate effettuate ogni giorno. L’idea di Meta è quindi quella di spingere le persone a utilizzare maggiormente Messenger per telefonare, e non solo per sfruttarne le funzionalità di chat testuale.

Dalla chat alla videochiamata

Nel 2014, Facebook aveva separato l’app dal social principale, pubblicandone una versione indipendente sia su App Store di iOS sia sul Play Store di Google. Un anno dopo aveva debuttato la funzione di videochiamata, seguita dalle chat di gruppo. E più di recente, Meta ha aggiunto nuove scorciatoie, incluse opzioni per avvisare tutti in una conversazione, oppure inviare messaggi che non danno luogo a notifiche. Nel settore delle app di messaggistica gratuite Messenger ha una lunga lista di concorrenti, tra cui Google Voice, Viber, Signal e la stessa WhatsApp, che Meta ha acquistato nel 2014.

Non è richiesto un numero di telefono in fase di registrazione

Tra le tante app concorrenti Messenger rimane una delle poche, oltre a FaceTime di Apple, a non richiedere un numero di telefono in fase di registrazione per funzionare, riporta Ansa.  Se l’app di Facebook Messenger è nata con il solo scopo di offrire agli utenti un sistema per poter chattare in maniera distaccata dal social network vero e proprio, attualmente offre un sistema completo per poter effettuare conversazioni scritte, vocali e video. La nuova scheda può tornare utile per aiutare a mantenere tutte le chiamate organizzate in un’unica posizione, migliorando la visibilità di queste funzioni.

Presto su Android e iOS/iPadOS

Posizionata al centro tra le schede ‘Chat’ e ‘Persone’, la nuova scheda Chiamate permette di accedere rapidamente all’elenco dei contatti e presenta pulsanti separati per le chiamate vocali e le videochiamate, permettendo agli utenti di chiamare direttamente un determinato utente senza dover per forza fare troppi passaggi. Il che rende la piattaforma molto più intuitiva anche per chi non l’ha mai utilizzata. La fase di implementazione della nuova scheda, riferisce Punto Informatico, è già in corso, quindi tutti gli utenti dovrebbero vederla comparire nelle prossime ore, sia su Android sia su iOS/iPadOS.

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11 milioni di italiani in difficoltà per l’aumento dei prezzi

Per “colpa” della guerra e dell’inflazione, abbiamo tutti assistito negli ultimi tre mesi a un deciso rincaro dei prezzi. E questi aumenti hanno impattato, e non poco, sui bilanci delle famiglie italiane. Tanto che oltre 1 italiano su 4, dato equivalente ad oltre 11 milioni di individui (26%), ha dichiarato che l’aumento dei prezzi in corso ha avuto un impatto molto negativo sul proprio bilancio familiare. Lo spiega la ricerca che Facile.it ha commissionato a mUp Research e Norstat per fotografare come i consumatori stiano affrontando l’attuale scenario economico. 
Per far fronte ai rincari gli italiani hanno adottato diverse strategie; c’è chi ha ridotto, se non del tutto eliminato, alcune voci di spesa (66% dei rispondenti), mentre oltre 4,7 milioni di individui per far quadrare i conti, hanno dovuto lasciare indietro alcune spese comunque scadute come, ad esempio, le bollette di luce e gas o le rate del condominio.

Come cambia il carrello della spesa

La pioggia di rincari ha comportato anche un mutamento nelle abitudini di acquisto. E’ infatti cambiata la composizione del carrello della spesa: secondo l’indagine, molti hanno affrontato i rincari orientandosi su marchi più economici (41%) o cambiando punto vendita (28%). Soluzioni spesso non sufficienti tanto che, comunque, 35 milioni di consumatori hanno ridotto, se non addirittura eliminato, dalla loro tavola alcuni alimenti; non solo dolci (46%), snack (44%), alcolici (39%), ma anche alimenti come carne (43%) e pesce (30%). C’è addirittura chi ha ridotto notevolmente l’acquisto di frutta (4,5 milioni di individui), pasta (3,4 milioni) e verdura (2,9 milioni). Ancora,  il 48% ha deciso di limitare i viaggi e 2 italiani su 3 hanno ridotto le uscite al ristorante.

Auto e casa

Il caro-benzina è uno dei problemi con cui tutti gli automobilisti hanno dovuto fare i conti; per far fronte agli aumenti il 46% dei rispondenti, molto semplicemente, ha detto di aver ridotto l’uso dell’auto nel tempo libero, mentre il 47% ha cercato di risparmiare prestando maggiore attenzione nella scelta della pompa di benzina.  Quasi 1 automobilista su 3, invece, ha modificato il proprio stile di guida al fine di ridurre il più possibile il consumo di carburante. Per quanto riguarda le spese di casa, gli italiani hanno cercato di far fronte agli aumenti di luce e gas impegnandosi nella riduzione dei consumi, ad esempio facendo più attenzione all’illuminazione domestica (61%), abbassando il riscaldamento (46%), ottimizzando l’uso degli elettrodomestici (42%) o consumando meno acqua calda (26%).

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Il tasto Invio non è una difesa per i nostri dati

Quando ci si registra su un sito, si acquista un biglietto, o si fa una prenotazione di un hotel, la convinzione è che finché non si preme il pulsante Invia i dati inseriti non andranno da nessuna parte. Non è così. Dopo aver analizzato più di 100 mila siti web un gruppo di ricercatori della KU Leuven, della Radboud University e dell’Università di Losanna ha scoperto che un numero impressionante di siti raccoglieva di nascosto tutto ciò che veniva digitato in un modulo online, anche se gli utenti cambiavano idea e lasciavano il sito senza premere il tasto Invio. 

Raccolta senza consenso

Al centro di questa trama ci sono gli indirizzi e-mail. “I marketer si affidano sempre più a identificatori statici come numeri di telefono e indirizzi e-mail perché le aziende tecnologiche stanno gradualmente abbandonando il monitoraggio degli utenti basato sui cookie per motivi di privacy”, ha sottolineato Güneş Acar, professore e ricercatore della Radboud University. La ricerca ha utilizzato un software che simulava un utente reale, che visitava pagine web compilando pagine di accesso o registrazione senza inviare, e ha rilevato che 1.844 siti nell’Ue avevano raccolto gli indirizzi e-mail senza il consenso dell’utente. Negli Stati Uniti è stato anche peggio, con 2.950 siti che hanno fatto lo stesso.

Servizi di marketing e analisi dei dati

Molti siti incorporano servizi di marketing e analisi di terze parti, che raccolgono i dati dei moduli indipendentemente dall’invio. I ricercatori hanno scoperto che Meta e TikTok stavano utilizzando i propri tracker di marketing invisibili per raccogliere dati anche da altre pagine web. I siti che avevano utilizzato Meta Pixel o TikTok Pixel, frammenti di codice che consentono ai domini dei siti di tracciare l’attività dei visitatori, avevano una funzione di ‘corrispondenza avanzata automatica’.
In pratica, quando si inseriva un indirizzo e-mail nella pagina in cui era presente Meta Pixel facendo clic sulla maggior parte dei pulsanti, o link che portavano gli utenti lontano da quella pagina, i dati personali venivano presi da Meta o TikTok.

Come avviene il tracciamento?

Secondo le stime dello studio, riferisce Agi, negli Stati Uniti 8.438 siti potrebbero aver fatto arrivare dati a Meta tramite il suo Pixel. In sostanza, la pratica è simile a quella dei cosiddetti key logger, programmi dannosi che registrano tutto quello che digita un determinato soggetto. I ricercatori hanno notato alcune diversità in questa pratica: alcuni siti hanno registrato i dati battuta per battuta, molti hanno acquisito gli invii completi quando gli utenti hanno fatto clic su quello successivo. Secondo i ricercatori le differenze potrebbero essere legate al fatto che le aziende sono più caute riguardo al tracciamento degli utenti, e integrano con un minor numero di terze parti, a causa del regolamento generale sulla protezione dei dati UE.

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Dalla UE nuovi standard per uno spazio digitale più sicuro

Dalla responsabilità algoritmica alla tutela dei minori: il Parlamento e il Consiglio Europeo stabiliscono nuove regole per le Big Tech. È stato infatti raggiunto un accordo provvisorio sulla legge sui servizi digitali (Digital Services Act – DSA), che insieme al Digital Markets Act, stabilirà gli standard per uno spazio digitale più sicuro e condizioni di parità per aziende e Big Tech nei prossimi anni. In base alle nuove regole, le piattaforme online, come social media e mercati, dovranno adottare misure per proteggere gli utenti da contenuti, beni e servizi illegali. La Commissione e gli Stati membri avranno accesso agli algoritmi di piattaforme online molto grandi, inoltre vi sarà una rimozione rapida di contenuti illegali, inclusi prodotti e servizi. Inoltre, gli utenti saranno autorizzati a segnalare contenuti illegali, e le piattaforme dovranno agire rapidamente.

Tutele più forti e acquisti più sicuri

Tutele più forti anche per garantire che le segnalazioni siano trattate in modo non arbitrario e discriminatorio e nel rispetto dei diritti fondamentali, compresa libertà di espressione e protezione dei dati. I mercati online devono poi garantire che i consumatori possano acquistare prodotti o servizi sicuri, rafforzando i controlli per dimostrare che le informazioni fornite siano affidabili (principio Know Your Business Customer), nonché adoperarsi per prevenire la visualizzazione di contenuti illegali. Le vittime di violenza informatica saranno meglio protette, soprattutto contro la condivisione non consensuale (revenge porn) con rimozioni immediate. Piattaforme e motori di ricerca possono essere multati fino al 6% del loro fatturato mondiale. Nel caso di piattaforme con più di 45 milioni di utenti la Commissione avrà il potere esclusivo di esigere la conformità.

Maggior controllo sull’utilizzo dei dati personali

La Commissione seguirà da vicino i potenziali effetti economici dei nuovi obblighi per le Pmi, e i nuovi obblighi di trasparenza consentiranno agli utenti di essere meglio informati su come viene consigliato il contenuto. Inoltre, gli utenti avranno un migliore controllo su come vengono utilizzati i loro dati personali, e la pubblicità mirata sarà vietata quando si tratta di dati sensibili. Le piattaforme accessibili ai minori dovranno adottare misure specifiche per tutelarli, anche vietando totalmente la pubblicità mirata, e sarà vietato manipolare le scelte degli utenti attraverso ‘modelli oscuri’: piattaforme e mercati online non dovrebbero spingere le persone a utilizzare i loro servizi, ad esempio esortando il destinatario a modificare la propria scelta tramite l’interferenza dei pop-up. E annullare un abbonamento dovrebbe diventare facile come abbonarsi.

Obblighi più severi e proporzionati ai rischi

I destinatari dei servizi digitali, riporta Italpress, avranno il diritto di chiedere il risarcimento di eventuali danni o perdite subiti a causa di violazioni da parte delle piattaforme. Le piattaforme molto grandi dovranno rispettare obblighi più severi nell’ambito della DSA, proporzionati ai rischi che comportano quando diffondono contenuti illegali e dannosi, compresa la disinformazione. Inoltre dovranno valutare e mitigare i rischi sistemici ed essere soggette ad audit indipendenti ogni anno. E le grandi piattaforme che utilizzano i ‘sistemi di raccomandazione’ (algoritmi che determinano ciò che vedono gli utenti) devono prevedere almeno un’opzione che non sia basata sulla profilazione.

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Empowerment femminile in Italia, a che punto siamo?

Come si realizza l’empowerment femminile nelle varie culture del mondo? Fermo restando che quello dell’eguaglianza di genere è un concetto universale, condiviso pressoché globalmente, resta il fatto che si possa esplicare in modi differenti. per scoprire come ciò accade nei vari Paesi, Ipsos ha lanciato Being Woman, un progetto di ricerca realizzato a livello Global, a cui hanno già aderito diversi Paesi, tra cui Cina, US, Francia e Italia. Quattro Paesi analizzati (e altri in arrivo) per descrivere le sfumature culturali e le differenze nella condizione femminile, nella rappresentazione, nelle ambizioni e per rispondere a due domande: cosa vogliono le donne? E cosa possono fare le aziende per ingaggiarle e rappresentarle in maniera vera e meno stereotipata? Lo scorso 28 aprile, in occasione di un appuntamento dedicato, sono stati anticipati i risultati italiani dello studio con l’obiettivo di aiutare l’audience a comprendere la donna attraverso una chiave di lettura diversa, ovvero quella di tipo culturale, che ne plasma il suo ritratto rendendolo così unico da Paese a Paese.

Le donne in Italia

Come precisa l’indagine, il vero empowerment femminile si crea solo quando le tensioni sono risolte ed esiste un allineamento tra tre pilastri principali. Si tratta di risorse sociali, cioè uguale accesso ai giusti asset di potere, quali ad esempio istruzione, indipendenza finanziaria, processo decisionale, lavori, compiti. In seconda battuta, c’è il pilastro dei sentimenti: la sicurezza in se stesse e la possibilità di ridurre il divario tra ciò che desidera e ciò che effettivamente si fa, ma bisogna prestare attenzione alla trappola dell’iper-performance. L’ossessione culturale italiana del ‘fare bella figura’ si riflette anche sulle questioni di genere, infatti, essere all’altezza di tutti i loro innumerevoli compiti è una sfida quotidiana e un sentimento condiviso per le donne italiane. Da qui nasce la trappola dell’iper-performance, che porta a un senso di potenziale frustrazione perpetua dovuta all’imperfezione. In questo senso, rimodellare i modelli aspirazionali è necessario per riuscire ad uscire dalla trappola. Infine, ci sono i comportamenti: la libertà e la capacità di diventare chi si vuole, anche contro le norme sociali, in molti casi sfruttando le tensioni per trovare un percorso di empowerment. 

Finanza e comunicazione

Ci sono altri due aspetti particolarmente interessanti nell’indagine. In primis lo stereotipo secondo cui le donne non sono capaci tanto quanto gli uomini di avere un ruolo attivo e positivo nella gestione delle finanze e, in questo senso, il crescente fenomeno delle Fin-Influencer sui social è la disgregazione di questo stereotipo. Le Fin-Influencer rappresentano quelle donne che hanno scelto di mettere le proprie competenze in ambito economico-finanziario al servizio della loro community online, che diventa sempre più ampia. Pio, c’è alla questione pubblicità/comunicazione: il 78% degli intervistati ritiene che la pubblicità ha il potere di influenzare come le persone si vedono e si percepiscono. La comunicazione è stata parte del problema nella definizione di stereotipi femminili in passato, ma ha l’opportunità di essere parte della soluzione in futuro. In che modo? Rappresentando la vita vera, al di là degli stereotipi.

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Le strategie del Design Thinking per ridefinire la complessità

Analogical Reasoning (ragionamento analogico), Associative Thinking (pensiero associativo) e Abductive Reasoning (ragionamento abduttivo) sono le tre logiche creative che permettono di affrontare le sfide dell’innovazione. Si tratta del Design Thinking, e lo studio dell’Osservatorio Design Thinking for Business della School of Management del Politecnico di Milano, mostra come queste tre logiche vengono adottate a seconda della sfida di innovazione che ci si trova a dover fronteggiare.
In tempi straordinari come quelli che stiamo vivendo, il Design Thinking può infatti dare un aiuto e una risposta, portando alla ridefinizione dei problemi tramite logiche creative che aiutino a capirne meglio la natura, e a trovare nuove soluzioni.

Accompagnare le aziende nel processo di innovazione

“Nei progetti innovativi la sfida da affrontare non è mai ben definita – afferma Claudio Dell’Era, Direttore dell’Osservatorio Design Thinking for Business -. È necessaria una maggiore comprensione. Lo scopo del Design Thinking è proprio quella di accompagnare per mano aziende e manager nel processo di innovazione, ridefinendo il reale e dandogli una nuova cornice. Tutto ciò nella consapevolezza che nel definire e ridefinire il problema, non si sta perdendo tempo, anzi si sta già approcciando la risoluzione delle sfide stesse”.

Come utilizzare le tre logiche creative

Il ragionamento analogico descrive come gli individui estraggano la conoscenza da una fonte e la trasferiscano a un obiettivo. Il pensiero associativo consiste invece nel creare e trovare link tra informazioni e conoscenze distanti che non sono collegate. Il ragionamento abduttivo crea nuova conoscenza attraverso la formazione di ipotesi esploratorie che pongono proposte plausibili di spiegazione, con lo scopo di conciliare le differenze tra diverse informazioni e conoscenze. Tutte e tre le logiche ottengono risultati simili quando il problema da affrontare è ben definito, ma il ragionamento analogico mostra valori significativamente inferiori nelle sfide dell’innovazione mal definite, in cui invece le operazioni di estrazione delle differenze, trasformazione dell’insieme di informazioni e costruzione immaginativa, appaiono particolarmente utili.

Aiutare manager e imprenditori a gestire sfide sempre più complesse

In un problema ben definito, invece, il ragionamento abduttivo è percepito come prezioso ed efficace, e soprattutto le operazioni di costruzione immaginativa di scenari what-if sono tra le più efficaci, e con molteplici spiegazioni possibili.
Le logiche creative sono perciò caratterizzate da una serie di operazioni creative che si differenziano a seconda delle logiche stesse.  A fronte di sfide di innovazione che differiscono per definizione e predisposizione all’innovazione, le logiche creative che abilitano e supportano i processi di Design Thinking nel fare framing e reframing cambiano per appropriatezza e valore. Questo aiuta manager e imprenditori che affrontano sfide sempre più complesse a gestirle e comprenderle meglio, facilitando quindi una riflessione iniziale che aiuta a valorizzare poi il processo risolutivo.

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Accelerano i contratti di rete in Lombardia: il totale sale a 4.410 (+12,5%)

Nel 2021 i contatti di rete in Lombardia hanno registrato un’accelerazione, con oltre 700 imprese lombarde che nel corso dell’anno li hanno sottoscritti. Una crescita netta rispetto agli ultimi anni, e un incremento del +12,5% rispetto al 2020.  Lo stock di imprese coinvolte in regione, comprese le reti cessate, sale così a 4.410. In pratica, per ogni mille imprese registrate in Camera di Commercio sono 4,6 quelle che partecipano ai contratti di rete.
Inoltre, con 1.513 reti, la Lombardia è la regione coinvolta nel maggior numero di contratti, il 20,4% del totale nazionale, anche se la quota di imprese partecipanti è inferiore alla media italiana. Sono alcuni dati emersi dal rapporto 2021 di Unioncamere Lombardia sui contratti di rete.

Il 24,2% riguarda imprese della stessa provincia

“Le imprese che partecipano ai contratti di rete sono ancora una minoranza, ma rappresentano un modello virtuoso di collaborazione per favorire la trasformazione tecnologica, l’innovazione e raggiungere nuovi mercati”, ha dichiarato il presidente di Unioncamere Lombardia, Gian Domenico Auricchio. Il 44% dei contratti che comprendono imprese lombarde vede la partecipazione di un massimo di tre imprese, e le reti con almeno 10 soggetti rappresentano il 14,9%. Considerando l’ambito territoriale dei contratti lombardi, il 24,2% risulta formato da imprese della stessa provincia, mentre il 17,6% vede la partecipazione di imprese con sede in diverse province della regione.

Si intensificano i legami con il Meridione

La maggior parte delle reti, il 58,2%, ha però un raggio di azione che si estende oltre i confini lombardi. In particolare, le collaborazioni sono particolarmente strette con il Lazio (247 contratti, di cui ben 224 con Roma), e con le grandi regioni industriali (Emilia Romagna 242, Veneto 238, Piemonte 202). Nel 2021 si sono intensificati poi i legami con il Meridione, in particolare con le regioni Campania, Puglia e Abruzzo.

Quasi metà delle aziende è attiva nei servizi

Nel complesso, dopo un avvio concentrato soprattutto nell’industria, i contratti di rete si stanno diffondendo in tutti i settori dell’economia regionale.
L’industria rimane il comparto con la maggior propensione all’aggregazione (8,8%), ma la crescita nel 2021 (+2,7%) conferma i ritmi bassi degli ultimi anni.  Per quanto riguarda gli altri settori di attività, quasi metà delle imprese è attiva nei servizi (46,6%), con un incremento significativo nel 2021, pari al +16,4%. In crescita anche il settore dell’agricoltura (+10%), dove il contratto di rete si è progressivamente diffuso raggiungendo una quota non trascurabile sul totale delle imprese del settore (8,0%), e le costruzioni (+19,8%).

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Nel 2021 quasi 4.000 nuovi domini legati al food 

Il food viaggia sul web, e diventa sempre più protagonista. Sono infatti quasi 4mila i nuovi domini .it afferenti al settore dell’agroalimentare registrati nel 2021. E per il 2022, tra gennaio, febbraio e marzo sono stati registrati “a ora ben 4.680 nuovi siti nel settore dell’agroalimentare”. Lo ha reso noto Registro .it, l’anagrafe del web a targa italiana e organo dell’Istituto di informatica e telematica del Cnr (Cnr-Iit). Dal 2016 Registro .it, in collaborazione con il dipartimento di informatica dell’Università di Pisa e Infocamere, ha istituito ‘Fine’, un osservatorio permanente per analizzare la diffusione di internet tra i vari settori appartenenti all’agroalimentare e studiare la loro diffusione.

Il 41,94% dei siti web .it appartiene al settore della ristorazione

I nuovi siti .it legati al food nati nel 2021 sono esattamente 3834. Di questi, quasi il 41,94% appartiene al settore della ristorazione, il 12% ai farinacei e il 10,17% al vino.  Seguono i settori cosiddetti ‘altro agro’, come caccia, cattura di animali, silvicoltura e utilizzo di aree forestali, con il 9,05%, il comparto agriturismo, con il 5,63%, e quello coltivazioni, con il 4,90%.
Una situazione simile si riscontra anche su base totale: in generale dei 101.605 siti .it registrati finora il 37,8% appartiene sempre al settore ristorazione, il 12,3% al vino, e l’11,3% ai farinacei.

Dal 2016 a oggi circa 8.000 registrazioni in più 

Oltre alle prime tre voci, seguono, entrambi con una quota dell’8,3%, i settori ‘altro agro’ e agriturismo.
Più in generale, dall’inizio della rilevazione dell’osservatori Fine nel 2016, e al netto delle cancellazioni avvenute nel corso degli anni, si evidenzia un incremento di circa 8mila domini registrati per i siti web .it afferenti al settore agroalimentare, pari a un aumento dell’8,4%. Al momento della rilevazione iniziale, dei 93.730 siti registrati per l’agroalimentare il 36,1% apparteneva sempre alla categoria ristorazione, l’11,5% a quella del vino, mentre l’11,3% a quella dell’agriturismo.

Una fotografia attendibile del web agroalimentare a targa italiana

“Quello dell’agroalimentare è un settore fondamentale per l’economia italiana – ha commentato Marco Conti, responsabile di Registro .it e direttore di Cnr-Iit – ma siamo certi che questa circostanza trovi riscontro anche sul web? È per rispondere a domande come questa che, sei anni fa, è nato Fine”. Secondo Maurizio Martinelli, primo tecnologo di Cnr-Iit, la risposta è sì. L’Osserv atorio rappresenta, riferisce Ansa,, “una fotografia attendibile per osservare come la situazione cambi nel corso del tempo all’interno del web agroalimentare a targa italiana”.

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Lavoro, Great Resignation? No, grazie

Gli italiani dicono no alla Great Resignation, le dimissioni ‘al buio’ per cercare un altro impiego. Il 56,2% degli occupati non è infatti propenso a lasciare il proprio lavoro, convinto che non ne troverebbe uno migliore. Percentuale che sale al 62,2% tra i 35-64enni e al 63,3% tra gli operai.
Se è vero che nei primi nove mesi del 2021 sono 1.362.000 le dimissioni volontarie registrate, +29,7% rispetto al 2020, proprio nel 2020, con il mercato del lavoro paralizzato a causa del Covid, si era verificato un picco negativo di dimissioni: solo 1.050.000 nei primi tre trimestri (-18,0% rispetto al 2019). Secondo il 5° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale si conferma però un trend di più lungo periodo di crescita delle dimissioni, legato soprattutto all’aumento della precarietà dei rapporti di lavoro.

Il pragmatismo vince sulla tentazione dimissioni

Tra i lavoratori italiani il pragmatismo vince sulla tentazione della Great Resignation, fa più paura l’idea di ritrovarsi impantanati nella precarietà. Eppure l’82,3% (86,0% giovani, 88,8% operai) si dice insoddisfatto della propria occupazione e pensa di meritare di più. Infatti il 58,1% ritiene di ricevere una retribuzione non adeguata, percezione confermata dalle statistiche ufficiali: negli ultimi vent’anni le retribuzioni medie lorde annue si sono ridotte del 3,6% in termini reali. Pensando alla propria occupazione, il 68,8% si sente poi meno sicuro rispetto a due anni fa (72,0% operai, 76,8% donne). E nell’ultimo biennio il 66,7% (71,8% tra i millennial) ha vissuto uno stress aggiuntivo per il lavoro, e il 73,8% teme che in futuro dovrà fronteggiare nuove emergenze lavorative.

Il digitale non è stato indolore

Per il 51,3% degli occupati il proprio lavoro è cambiato molto durante la pandemia. Il digitale è stato determinante, ma non indolore. Complessivamente il 58,0% ha riscontrato difficoltà nell’utilizzo dei dispositivi digitali, in particolare, nella partecipazione ai meeting online (55,3%) e con la posta elettronica (46,1%). Sullo smart working poi i lavoratori italiani si dividono: il 25,1% non vorrebbe farlo, il 32,9% vorrebbe proseguire, il 42,0% opterebbe per una soluzione ibrida.
In ogni caso, il tempo di lavoro si è dilatato: il 39,7% degli occupati afferma di non disporre di sufficiente tempo libero (45,1% tra gli esecutivi), e il 23,0% prevede un ulteriore peggioramento nel futuro.

Come colmare il deficit di motivazione

Le richieste alle aziende sono chiare: il 91,2% dei lavoratori vorrebbe retribuzioni più alte, l’86,5% più servizi di welfare aziendale, e il 75,2% un maggiore supporto nel rispondere ai bisogni sociali.
Intanto aumentano le imprese che puntano sugli strumenti del welfare aziendale. Per il 62,5% di un panel di responsabili delle risorse umane di grandi imprese il welfare aziendale è una priorità, e il 71,9% si dice pronto ad attivare servizi ad hoc per rispondere ai bisogni dei lavoratori.
Piani di welfare ‘su misura’, fatti di servizi e supporti personalizzati, disegnati sui bisogni del singolo lavoratore, possono infatti dare un contributo decisivo alla domanda di riconoscimento dei lavoratori, stimolando un diverso rapporto con il lavoro e l’azienda.

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