Come funzionano i compressori industriali moderni?

I moderni compressori industriali sono dei dispositivi avanzati tecnologicamente e per questo oggi imprescindibili in tantissimi settori che riguardano non solo l’industria, ma anche la cantieristica ed il settore edile e dei lavori su strada in generale.

Questi strumenti garantiscono infatti una buonissima versatilità e possono anche essere adoperati all’esterno e dunque trasportati. Ciò consente di rendere il lavoro molto più semplice e veloce anche in condizioni particolari.

È questo ad esempio il caso di quegli ambienti troppo umidi in cui sarebbe rischioso andare ad adoperare la corrente elettrica per alimentare gli strumenti, come ad esempio quelli a perforazione.

Molto più sicuro è invece adoperare l’aria compressa dato che questa non necessita di energia elettrica per essere erogata. Alla stessa maniera, gli strumenti che funzionano ad aria compressa sono ideali in tutti quegli altri ambienti di lavoro nei quali per vari motivi, alcuni anche pratici, non è possibile portare la corrente elettrica fin dove necessario.

Dunque grazie ai compressori industriali è possibile ottenere aria compressa anche H24, sempre con il massimo della qualità e dell’efficienza. Si tratta di macchinari che tra l’altro rispondono perfettamente a tutte le normative in ambito di sicurezza del lavoro e che dunque tengono in grande considerazione l’incolumità degli operatori.

I compressori industriali usati

In base al tipo di settore in cui si opera, e dunque basandosi su quello che è l’utilizzo che si prevede di fare del dispositivo, potrebbe anche essere conveniente considerare l’acquisto di compressori industriali usati.

Si andrebbe in questa maniera certamente a risparmiare sul costo di acquisto, andando ad usufruire ugualmente di un dispositivo certificato e perfettamente in grado di fare il suo lavoro.

Non sempre è dunque preferibile acquistare un compressore nuovo di fabbrica, ma possono esservi dei casi in cui una soluzione di usato in buone condizioni può essere preferibile.

I vantaggi dei compressori industriali moderni

In dettaglio, vi sono alcuni vantaggi che i compressori industriali moderni sono in grado di garantire rispetto quelli di vecchia generazione. Sicuramente tra questi c’è l’ottimizzazione dei consumi, dato che questi riescono ad effettuare lo stesso tipo di lavoro assorbendo meno energia e dunque consentendo nel corso dell’intero anno solare un cospicuo risparmio energetico.

A questi si uniscono dei costi contenuti per quel che riguarda il prezzo di acquisto, ed un livello di affidabilità assolutamente levato per il quale questi macchinari possono lavorare anche 24 ore al giorno senza andare incontro ad alcun tipo di problema tecnico.

Tra l’altro, il che è un bene soprattutto per i lavoratori che stanno a stretto contatto con questi macchinari, i moderni compressori industriali hanno un livello di rumorosità veramente basso che fa sì che questi possano lavorare senza dare il minimo fastidio a chi si trova nei paraggi.

Soprattutto risparmio energetico e affidabilità sono dei fattori fondamentali per chi opera in questo settore, dato che certamente si ha necessità di poter usufruire di prestazioni elevate in maniera continua. Un mix perfetto dunque, che consente di avere un reale vantaggio produttivo nei confronti dei propri competitors.

Conclusione

I compressori industriali moderni sono dunque uno strumento effettivamente utile per ottimizzare e velocizzare il lavoro di ogni giorno, sia esso all’interno di un sito industriale che di un cantiere edile o su strada.

Gli operai possono effettuare molto più rapidamente il proprio lavoro e con una precisione maggiore, a tutto vantaggio della qualità di produzione o della perfetta esecuzione dei lavori.

Questo tipo di strumento è dunque in grado di aumentare notevolmente la produttività e quindi il ritorno economico già a breve termine.

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Alimenti italiani fake, l’agropirateria pesa per 100 miliardi di euro

Il problema dei falsi – gigantesco e pesantissimo sotto il profilo economico – non riguarda solo i settori più visibili, come le copie dei prodotti più di moda dei brand famosi. Riguarda, e con una ricaduta impressionante, anche gli alimentari. Proprio così: il Made in Italy fa gola anche alla pirateria in ambito alimentare. Andando più nel concreto, l’agropirateria internazionale ha raggiunto la cifra record di 100 miliardi di euro di falso “italiano” il cui danno economico è aumentato del 70% solo nell’ultimo decennio. “Servono impegni concreti per facilitare la presenza di prodotti originali made in Italy sulla rete distributiva mondiale, fare la giusta informazione verso il consumatore estero sulla qualità del vero prodotto italiano, promuovere le produzioni dei territori e combattere il fake food, offrire tramite nuove tecnologie la possibilità di leggere in modo immediato il tracciamento del prodotto a scaffale e le attività certificate 100% Italian Taste”, affermano gli esperti riuniti all’evento web “Made in Italy ed eccellenze della cucina italiana. Viaggio intorno al mondo del 100% Italian Taste” promosso da ITA0039 by ASACERT in collaborazione con la Fondazione UniVerde e con il supporto di Coldiretti e Fondazione Campagna Amica, e ripreso dal media partner ItalPress.

Difendere il vero Made in Italy

Come si legge nella nota, “L’appuntamento si è svolto nell’ambito della VI Settimana della Cucina Italiana nel Mondo ed è stato occasione per rilanciare i temi della qualità, della salubrità e della sostenibilità delle produzioni italiane, insieme alla campagna #NoFakeFood che si propone l’obiettivo di tutelare e valorizzare il vero made in Italy agroalimentare contro agropirateria, contraffazioni e Italian sounding nonchè difendere l’identità territoriale dei prodotti agroalimentari e promuovere, a livello internazionale, la genuinità del cibo e la qualità degli ingredienti 100% italiani nelle preparazioni culinarie. Oltre a questo, è stato ricordato il cammino del protocollo ITA0039, strumento di riconoscibilità dedicato al mondo della ristorazione, l’unico rilasciato da un Ente accreditato professionale e il cui scopo è la valorizzazione del prodotto enogastronomico nel mondo: le attività certificate 100% Italian Tastè garantiscono infatti l’autenticità di ristoranti e prodotti italiani, provenienti da fornitori italiani”.

Arrivare a 100 miliardi di esportazioni “vere” entro il 2030

“Vogliamo arrivare a 100 miliardi di esportazioni dell’autentico made in Italy entro il 2030. Per farlo l’alleanza con i ristoranti italiani nel mondo è fondamentale, anche dal punto di vista culturale – ha sottolineato Gianluca Lelli, Capo Area Economica di Coldiretti -. L’agricoltura è il carburante del comparto della ristorazione, ambasciatore della cultura del cibo italiano all’estero. Ogni ristorante, dove c’è il prodotto italiano originale, diventa non solo vetrina ma spazio di trasparenza e formazione. I consumatori italiani sono ormai da tempo abituati a destreggiarsi tra le diverse certificazioni e sono perfettamente consapevoli di quanto questo strumento sia utile ad orientare le proprie scelte di consumo verso il prodotto 100% italiano”.

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A ottobre 2021 i prezzi al consumo aumentano del + 3,0%

Rispetto a settembre, a ottobre 2021 l’Istat stima un aumento dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC) dello 0,7% al lordo dei tabacchi, e del 3,0% su base annua (a settembre era +2,5%). La stima preliminare era del +2,9%. L’ulteriore accelerazione su base tendenziale dell’inflazione anche a ottobre è in larga parte dovuta ai prezzi dei beni energetici, passati da +20,2% di settembre a +24,9%, sia quelli della componente regolamentata (da +34,3% a +42,3%) sia quelli della componente non regolamentata (da +13,3% a +15,0%).  Inoltre, rispetto a settembre accelerano anche i prezzi dei servizi relativi ai trasporti, ma in misura minore: da +2,0% a +2,4%. Sempre a ottobre, l’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, sale da +1,0% a +1,1%, mentre quella al netto dei soli beni energetici rimane stabile a +1,1%.

L’aumento è dovuto soprattutto ai prezzi dei beni energetici regolamentati

L’aumento congiunturale dell’indice generale è dovuto prevalentemente alla crescita dei prezzi dei beni energetici regolamentati (+17,0%) e solo in misura minore a quella dei prezzi degli energetici non regolamentati (+1,0%) e degli alimentari non lavorati (+0,7%). Diminuiscono, invece, per ragioni ascrivibili per lo più a fattori stagionali, i prezzi dei servizi relativi ai trasporti (-0,7%) e dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (-0,3%).

Accelerano i prezzi dei beni, stabili quelli dei servizi

Su base annua accelerano i prezzi dei beni (da +3,6% a +4,2%), mentre la crescita di quelli dei servizi è stabile (+1,3%). Il differenziale inflazionistico tra questi ultimi e i prezzi dei beni rimane negativo (-2,9 punti percentuali), ampliandosi rispetto a quello registrato a settembre (-2,3). L’inflazione acquisita per il 2021 è pari a +1,8% per l’indice generale, e a +0,8% per la componente di fondo. Accelerano i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona (da +0,9% a +1,0%) e quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +2,6% a +3,1%).

Indice IPCA, +0,9% tendenziale, +3,2% su base annua

L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), al netto dei tabacchi, registra poi un aumento dello 0,6% su base mensile e del 3,0% su base annua.

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Prorogata al 31 dicembre 2021 la consultazione delle e-fatture

Il 30 settembre scorso è scaduto il termine per l’adesione al servizio di consultazione e acquisizione delle fatture elettroniche. È quindi terminato il periodo ‘transitorio’ durante il quale gli operatori economici e i loro intermediari delegati hanno potuto consultare, anche in assenza di adesione allo specifico servizio, la totalità delle fatture elettroniche trasmesse al Sistema di Interscambio a decorrere dal 1° gennaio 2019, la data di avvio dell’obbligo generalizzato di fatturazione elettronica. Un provvedimento firmato dal direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, proroga però dal 30 settembre al 31 dicembre 2021 la deadline per operare la scelta di adesione al servizio di consultazione e acquisizione delle e-fatture.

Ancora due mesi per operare la scelta

Restano quindi ancora due mesi per scegliere il servizio di consultazione delle e-fatture. Gli operatori Iva e i consumatori finali, infatti, potranno aderire al servizio di consultazione e acquisizione delle proprie fatture elettroniche, continuando così a poter consultare le fatture emesse e ricevute dal 1° gennaio 2019 fino al 31 dicembre 2021.

Chi effettua l’adesione entro il 31 dicembre potrà accedere alle fatture pregresse

Per andare incontro alle richieste di operatori economici, associazioni di categoria e ordini professionali, che hanno segnalato le criticità legate all’impossibilità di accedere alle fatture ‘pregresse’, il provvedimento porta quindi dal 30 settembre al 31 dicembre 2021 la deadline per operare la scelta. Inoltre, il provvedimento prevede la possibilità, per chi ha effettuato o effettuerà l’adesione entro il 31 dicembre 2021, di accedere a tutte le fatture emesse e ricevute trasmesse al Sistema di interscambio a partire dal 1° gennaio 2019, e non solo a quelle trasmesse dal giorno successivo all’adesione. Gli operatori Iva possono comunicare l’adesione anche tramite un intermediario appositamente delegato.

Conservazione e consultazione, due servizi distinti

L’Agenzia mette a disposizione dei contribuenti due diversi servizi, riporta Adnkronos, a cui si può accedere previa, e specifica, adesione. Si tratta di due servizi gratuiti, di cui il primo riguarda la conservazione a norma delle fatture elettroniche, secondo quanto disposto dal decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 17 giugno 2014, e il secondo riguarda la consultazione e l’acquisizione delle fatture elettroniche e dei loro duplicati informatici. I due servizi hanno finalità diverse e richiedono, ognuno, una specifica adesione. Per evitare di incorrere nelle criticità che sono state rappresentate è fondamentale effettuare l’adesione al servizio di consultazione entro il 31 dicembre 2021. Quanto al periodo di consultazione, quest’ultimo servizio prevede che le fatture elettroniche siano consultabili e scaricabili fino al 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di ricezione da parte del Sistema di interscambio.

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Food&Beverage, gli italiani seguono i food influencer per i consigli culinari

Nell’ultimo anno i post sui social network a tema food sono aumentati del +57,4%, per un totale di 1,59 milioni di contenuti. Una crescita determinata probabilmente dal lockdown, che ha spinto gli utenti a dedicare più tempo alla cucina. Il 54% degli italiani, infatti, segue abitualmente i food influencer per i consigli culinari, e nuove celebrities allargano sempre più la propria platea di follower. Sono alcuni dati emersi dalla ricerca condotta a livello globale da Buzzoole, martech company specializzata in tecnologie e servizi per l’Influencer Marketing, su oltre 2 milioni di profili e 250 milioni di contenuti monitorati dalla piattaforma Buzzoole Discovery su Instagram, Facebook, Youtube, Twitter e TikTok nel 2020.

Il canale più utilizzato per condividere i contenuti è Instagram

I food influencer hanno un’audience per il 66,70% femminile, e per il 56,53% di età compresa tra i 18 e i 34 anni. Il canale maggiormente utilizzato per condividere contenuti è Instagram (75,64%), seguito da Facebook e Twitter. TikTok, in coda, ma sempre più in crescita, ha raggiunto 11.800 post solo nell’ultimo anno. Se sui social spopolano i video di ricette ‘step by step’ da poter replicare in casa anche la sostenibilità è un tema molto sentito. Tanto che sui social sono sempre più presenti consigli per evitare sprechi in cucina, e ricette per riutilizzare in modo creativo gli scarti alimentari.

Non soltanto chef o appassionati di ricette ma anche creator

Gli influencer coinvolti per le campagne di questo settore sono molto eterogenei per dimensione e tipologia, con follower base che vanno dai 10mila a più di 500mila follower, includendo spesso le Celebrity.  All’interno della categoria si trovano non soltanto chef o appassionati di ricette, ma anche creator che riescono a toccare discipline quali sostenibilità, sport, arte e intrattenimento. La maggior parte dei creator italiani in ambito food sono donne (60,57%) mentre gli uomini rappresentano circa un quarto del totale (39,43%). E se l’86% dei food influencer rientra nella categoria micro e medium (dai 10 mila ai 100 mila follower), il resto del mercato è composto da social star e celebrità.

Beverage, 311mila contenuti di cui il 56% ha come focus il vino 

Nell’ultimo anno anche il settore Beverage ha riscontrato molto interesse: i contenuti generati hanno raggiunto quota 311mila, con un incremento del +36% rispetto all’anno precedente. In particolare, il 56% dei contenuti ha come focus il vino, tema in forte crescita con un incremento del +29,10%. I wine influencer in Italia sono così popolari da rappresentare il 68% del totale dei creator che trattano di beverage. In generale, gli influencer italiani che parlano di drink sono principalmente uomini (56%), mentre le donne rappresentano oltre il 40%. L’audience è per il 64% femminile con un’età compresa tra i 25 e i 44 anni, e suddividendo per fasce di follower, se i Novice e Micro creator (10-30mila follower) risultano più numerosi (69,12%), le Social Star (più di 200mila follower) rappresentano il 4,78%.

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In Italia cresce lo streaming, ma la Tv linear resta (per ora) sul podio

La tv? Sempre più streaming, in tutto il mondo, complice anche la chiusura in casa imposta dalla pandemia nell’ultimo anno e mezzo. I nuovi modi di fruizione dei programmi televisivi sono radicalmente cambiati nel giro di poco tempo: solo per fare un esempio, negli Stati Uniti la visione di tv streaming ha doppiato quella della tv tradizionale (definita linear). E il trend è ormai segnato in ogni angolo del Globo. E in Italia? Smart Tv e streaming crescono, ovvio, ma nel nostro Paese ci sono ancora delle resistenze nell’abbandonare il passato. A dirlo dai dati raccolti e diffusi da Samsung Ads Europe, la divisione Samsung Electronics dedicata a media e pubblicità, in relazione al periodo della pandemia di covid, tra gennaio 2020 e luglio 2021. L’analisi – che si sofferma sul comportamento degli utenti di smart TV Samsung – ha un respiro internazionale: dagli Usa al Canada, dal Regno Unito alla Germania, dalla Francia alla Spagna fino, appunto, al nostro paese. 

In Italia “vince” ancora la tv tradizionale

Nel nostro Paese la tv lineai si conferma a oggi quella più vista, anche se la forbice si sta assottigliando. Per citare i dati dello studio, si scopre che alla fine di giugno 2021 le Smart TV Samsung presenti in Italia trascorrevano giornalmente in media 1 ora e 52 minuti sulla TV lineare e 1 ora e 32 minuti in streaming. Dati che se confrontati con gennaio 2020, registrano un aumento del 43% dello streaming contro solo un +29% della TV lineare. Tra l’altro, cresce anche il gaming, con la Smart TV come strumento del gioco,

Dati in forte aumento per Svod e Avod 

Ma gli incrementi riguardano tutte le modalità di fruizione. Ad esempio, lo studio segnala – sempre nel periodo compreso tra gennaio 2020 e giugno 2021 – un incremento continuativo pari al 46% del “Subscription video on demand”, più comunemente noto con il termine Svod, a cui si affianca però anche l’aumento dell’Avod (ad-supported video on demand). Quest’ultimo, da gennaio 2020, ha registrato in Italia un +115% – la crescita percentuale più alta rispetto agli altri Paesi europei considerati – con un tempo medio di visione giornaliero di 43 minuti. Si tratta di un dato, questo, che riflette lo sviluppo sia dei servizi Avod tradizionali come YouTube sia il successo delle piattaforme fast come Roku e Samsung TV Plus.

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Moda, Milano esporta 3,8 miliardi di euro nel primo trimestre 2021

Nel primo trimestre del 2021 Milano ha esportato solo nel settore moda 3,8 miliardi di euro, pari al 15% del totale nazionale. Solo a Milano si contano 10.410 imprese del settore, sulle 26.876 della Lombardia e le 191.148 in Italia, e 73.625 addetti, rispetto ai 156.139 della Lombardia e ai 717.948 dell’intero territorio nazionale.  I dati della Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi confermano la moda come il settore che meglio connota Milano, e che più rappresenta il Made in Italy nel mondo. Secondo l’ultimo Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico di Milano, nel 2020 il settore dell’abbigliamento è valso 3,9 miliardi di euro (+22% rispetto all’anno precedente). E in valore assoluto, la moda è stato uno dei tre comparti che lo scorso anno ha contribuito maggiormente alla crescita economica del Paese, con 700 milioni di euro sui 5,5 miliardi di euro di incremento totale.

Nel 2019 il fatturato a Milano è il 17% del totale nazionale

“Nel 2019, a Milano, il fatturato della moda, industria e commercio ha sfiorato i 21 miliardi di euro, pari al 17% del totale nazionale, un valore cresciuto del 34% rispetto al 2010 – spiega Elena Vasco, Segretario generale della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi -. All’interno del comparto, la voce più rilevante è costituita dal commercio al dettaglio e all’ingrosso, che vale infatti quasi 13 miliardi di euro, ed è anche quella che è cresciuta maggiormente (+45%). La produzione di tessile-abbigliamento e pelletteria – continua Vasco – con un fatturato di 7,6 miliardi, ha riportato ugualmente un risultato positivo negli anni considerati (+17,5%)”. 

Un settore in trasformazione

La moda però sta vivendo un momento complesso e sta facendo i conti con cinque forze che stanno portando il settore a una profonda e radicale trasformazione, accelerata ulteriormente dalla pandemia. Tra queste sfide spicca quella della sostenibilità, parametro richiesto sempre più dagli stessi consumatori, come si evince dal proliferare di piattaforme di vendita di usato.
“La moda è uno dei settori che, negli ultimi anni, ha subito le maggiori trasformazioni, già prima della pandemia – commenta Giuseppe Stigliano, esperto di marketing, di trasformazione digitale e innovazione aziendale -. L’onlife fashion è la rappresentazione di come il mondo della moda ha dovuto fare i conti con le 5 forze: accelerazione, ibridazione, disintermediazione, sostenibilità e democratizzazione.

Il mercato chiede alle aziende di fare scelte sostenibili

“A queste, nel 2020, si è aggiunta una sesta forza, il Covid-19, che ha contribuito a riscriverne le regole – continua Stigliano -. Soprattutto entrando nel merito della quarta forza, la sostenibilità appunto, la moda è il settore più inquinante dopo quello del petrolio, ed è vissuta per anni di azioni di compensazione, ma oggi non basta più. Il mercato chiede alle aziende di essere coerenti – sottolinea Stigliano – e fare scelte realmente sostenibili, ed è per questo che il comparto della moda è oggi costretto a ripensarsi”.

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Un solo caricabatterie per tutti i device: lo ha deciso l’Europa

Addio a un caricatore a me e uno a te, uno per il cellulare e uno per il tablet, un altro per la macchina fotografica e uno in più per la cassa… A breve ci sarà un caricabatterie unico per tutti i device elettronici. Lo ha reso noto la Commissione Europea che, dopo anni di incompatibilità fra i diversi sistemi, ha deciso di proporre una revisione della direttiva sugli apparecchi radio che imporrà, a partire da 24 mesi dall’approvazione della norma, l’adozione di una singola porta di ricarica per tutti gli smartphone, i tablet, le macchine fotografiche, le cuffie, le casse portatili e le consolle per i videogiochi. Sarà quella attualmente più comune, cioè una porta Usb di tipo C, che diventerà lo standard. Negli ultimo tempi, va però ricordato, c’era già stata una sensibile riduzione dei sistemi di ricarica: si è infatti passati da circa 30 a sole 3 soluzioni, ricorda l’Ansa. Resta comunque il fatto che ancora oggi gli utenti si trovano a dover “combattere” con differenti standard.  

Obiettivo: ridurre la “spazzatura elettronica”

Poiché ogni anno vengono venduti in Europa circa 420 milioni di telefonini e altri apparecchi portatili, è facile immaginare la quantità enorme di cavi e cavetti per ricaricarli che popola le nostre case e i nostri uffici. In media, ogni europeo possiede tre caricatori, due dei quali utilizza regolarmente. Il 38% dei consumatori europei, secondo la Commissione, ha vissuto almeno una volta l’esperienza di non poter ricaricare il cellulare, perché i caricatori disponibili al momento non erano compatibili con il telefonino da ricaricare. Oltre che all’ambiente, la situazione nuoce al portafoglio dei clienti (non a quello dei produttori): i consumatori europei spendono circa 2,4 miliardi di euro l’anno in caricatori acquistati separatamente dagli apparecchi. Per quanto riguarda la sostenibilità, la nuova norma consentirebbe di risparmiare almeno 1.000 tonnellate annue di spazzatura elettronica: i caricatori inutilizzati e gettati via nel Vecchio Continente ammontano a 11mila tonnellate all’anno.

Un passo importante

“Con la nostra proposta – dice il commissario europeo all’Industria Thierry Breton – i consumatori europei potranno utilizzare un singolo caricatore per tutti i loro apparecchi elettronici portatili, un passo importante per aumentare la comodità e per ridurre i rifiuti”. Al momento la proposta non riguarda i pc portatili né i sistemi di ricarica wireless, ma non è escluso che la Commissione possa decidere di intervenire anche in questi ambiti in futuro. 

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L’Italia dice addio a un frutto su quattro per colpa del clima impazzito

In un 2021 segnato in media da quasi sei eventi estremi al giorno, tra siccità, bombe d’acqua, violente grandinate e gelo, che hanno compromesso pesantemente i raccolti, il clima pazzo sconvolge la natura. E per il crollo di oltre il 27% della produzione nazionale l’Italia dice addio a quasi un frutto su quattro.  È quanto emerge dall’analisi della Coldiretti dal titolo: 2021, l’anno nero della frutta Made in Italy, diffusa in occasione del Macfrut di Rimini, il grande salone della frutta e verdura Made in Italy, sulla base della banca dati dell’European Severe Weather Database (Eswd).

I raccolti Made in Italy sono scesi al minimo

Con l’inverno bollente, il gelo in primavera e una estate divisa tra caldo africano, siccità e violenti temporali, l’andamento climatico anomalo, sottolinea la Coldiretti, ha prima danneggiato le fioriture e poi i frutti, con i raccolti Made in Italy scesi al minimo da inizio secolo. Secondo l’analisi della Coldiretti rispetto alla media dei cinque anni precedenti, il risultato è un calo che riguarda tutti i prodotti, dalle mele (-12%) alle pere (-69%), dalle susine (-33%) ai kiwi (-29%), dalle albicocche (-37%) alle pesche (-48%) fino alle ciliegie (-20%). Una situazione drammatica per i produttori colpiti dalle calamità, che in molti casi hanno perso un intero anno di lavoro, ma che riguarda anche i consumatori, che hanno dovuto affrontare un carrello della spesa più costoso.

Oltre 300mila aziende agricole per più di un milione di ettari coltivati

Il settore ortofrutticolo nazionale, spiega la Coldiretti, garantisce all’Italia 440 mila posti di lavoro, pari al 40% del totale in agricoltura, con un fatturato di 15 miliardi di euro all’anno tra fresco e trasformato grazie all’attività di oltre 300 mila aziende agricole su più di un milione di ettari coltivati in Italia. L’Italia della frutta vanta ben 113 prodotti ortofrutticoli Dop e Igp, e primeggia in Europa con molte produzioni importanti, dalle mele alle pere, dalle ciliegie alle uve da tavola, dai kiwi alle nocciole fino alle castagne. Ma il nostro paese primeggia anche per molte verdure e ortaggi tipici della dieta mediterranea, come pomodori, melanzane, carciofi, cicoria fresca, indivie, sedano e finocchi.

Come difendere le colture e tutelare le imprese?

Per difendere questo patrimonio nazionale dagli effetti dei cambiamenti climatici, e tutelare le imprese e le famiglie italiane, promuovere l’applicazione e la diffusione di misure di gestione del rischio risulta strategico.
“Sostenere l’adesione delle aziende agricole a questi strumenti è un’esigenza imprescindibile, considerato che a oggi meno del 20% della produzione lorda vendibile agricola nazionale risulta assicurata – afferma Ettore Prandini, presidente della Coldiretti, – questo, nonostante la maggiore frequenza e intensità di eventi climatici estremi ai quali si aggiunge la volatilità dei prezzi che caratterizza il mercato globalizzato. Con la collaborazione fra Stato e Regioni – aggiunge Prandini – è necessario promuovere strumenti di gestione del rischio moderni, riguardanti sia la difesa attiva sia passiva delle colture, e volti a tutelare le imprese e i loro redditi”.

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Specialità regionali, +6,4% di fatturato. Sul podio Trentino, Sicilia e Piemonte

Le specialità regionali diventano protagoniste nel carrello della spesa degli italiani, con un giro d’affari da 2,6 miliardi di euro, in crescita del 6,4% annuo. Nel corso del 2020 supermercati e ipermercati segnalano infatti oltre 9.200 prodotti food & beverage con l’origine di provenienza riportata in etichetta. Lo rileva la nona edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, secondo la quale al primo posto per valore delle vendite c’è il Trentino-Alto Adige (+7%) seguito da Sicilia (+5,1%) e Piemonte (+3,7%), che però è la regione presente sul maggior numero di prodotti (1.152 referenze). L’Osservatorio traccia una vera e propria mappa del regionalismo in tavola, dove per la prima volta compare anche la geografia delle vendite dei panieri regionali all’interno del territorio nazionale per individuare dove sono più apprezzati, riferisce Ansa.

I consumi regionali

Il sovranismo alimentare regna in Sardegna, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, mentre in Lombardia, Emilia-Romagna, Campania, Molise e Calabria i prodotti del territorio locale restano preponderanti e sviluppano più vendite rispetto alla media nazionale.
Ma ci sono anche regioni dove i prodotti locali non sono ai primi posti per incidenza sugli acquisti, come accade in Valle d’Aosta e Basilicata. Nel resto del paese il carrello della spesa è più interregionale.
Ad esempio, in Liguria il consumo dei prodotti piemontesi è superiore del 69% alla media italiana e quello dei prodotti campani lo è del 12%, mentre in Piemonte l’indice di allocazione dei consumi è maggiore per i prodotti liguri e per quelli pugliesi.

La classifica delle regioni in etichetta

Ancora una volta il primo posto, per valore delle vendite, spetta al Trentino-Alto Adige, grazie a un ampio paniere di prodotti, in particolare vini e spumanti, speck, yogurt, mozzarelle e latte. Una leadership che nel 2020 si è ancor più consolidata, sostenuta in particolare dall’apporto positivo di speck e vini. Il secondo posto va alla Sicilia, il cui paniere di specialità regionali (tra cui spiccano il vino, i sughi pronti e le arance) ha visto aumentare le vendite soprattutto grazie all’apporto di birre, arance, sughi pronti, passate di pomodoro e bevande gassate.

L’exploit del Molise

Al terzo posto per valore delle vendite si insedia il Piemonte, davanti a Sicilia e Toscana. Nel 2020 il paniere dei prodotti piemontesi, composto soprattutto da vini, formaggi freschi, carne, acqua minerale e latte, ha ottenuto un aumento delle vendite a cui ha contribuito soprattutto carne bovina, vini Docg, latte Uht, miele e mozzarelle. Confrontando l’andamento delle vendite realizzate nel 2020 con quelle dell’anno precedente, emerge che i panieri regionali più dinamici sono stati quelli di Puglia (+14,4%) e Calabria (+12,5%), seguiti da quelli di Veneto (+9,6%) Sardegna (+8,6%), Abruzzo (+8,5%) e Marche (+8,4%). Il fenomeno del 2020 è stato l’exploit del Molise, che continua a guadagnare spazio nel carrello della spesa degli italiani: l’anno scorso le vendite del paniere dei prodotti di questa regione sono cresciute del +24,8%, con la pasta di semola a fare da traino, riferisce brand-news.it.

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